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La città ideale

Ricostruire La città ideale

di Elena Bastianini e Andrea Cigognetti

La critica d’arte su La città ideale

La tavola della “città ideale” di Urbino, o tavola Urbinate, è ad oggi considerata il simbolo della razionalità e della perfezione prospettica del Rinascimento italiano, tanto che a volte ci dimentichiamo che della tavola non sappiamo quasi nulla. Non conosciamo il nome del suo autore perché, sebbene nel corso degli anni sia stata ascritta a un numero sproporzionato di artisti, non si è mai giunti a un’attribuzione convincente: tra i tanti riconosciuti come creatori dell’opera sono figurati Piero della Francesca, Leon Battista Alberti, Bramante, Luciano Laurana, Francesco di Giorgio Martini, Melozzo da Forlì, Giuliano da SanGallo, perfino Sandro Botticelli. Non siamo sicuri da chi venne commissionata, sebbene la sua ubicazione a Urbino abbia fatto pensare alla corte di Federico da Montefeltro e non conosciamo neppure la sua collocazione originaria, anche se le tracce trovate sul retro hanno fatto ipotizzare che fosse una spalliera di arredi o comunque inserita nel rivestimento ligneo di una stanza (1).

Non dobbiamo dimenticare poi che lo stesso nome di “città ideale” le è stato attribuito dai critici d’arte per la “perfetta razionalità” matematica e l’assenza della figura umana (2). Allo stesso modo la sua associazione alle tavole di Baltimora e Berlino è solo un’ipotesi storiografica come gli svariati significati che sono stati di volta in volta attribuiti alle tre opere, ovvero che esse rappresentino un’utopia, una scenografia teatrale, una ricostruzione di una città antica, un progetto di una città da costruire (3).

Una premessa

Purtroppo in molte delle ricerche che abbiamo consultato troviamo troppo spesso accostati all’opera i termini “assoluta” e “perfezione”. La costruzione prospettica della tavola è rigorosa e basata su principi matematici, ma come tutto il sapere umano è frutto di approssimazione. E ciò non ne scredita il valore, anzi.

L’approssimazione è alla base di tutte le scienze: è il modo umano di conoscere il mondo. Tutte le misure che conosciamo sono frutto di un’incertezza relativa, e pur essendo inesatte, sono tuttavia abbastanza precise per poter essere di una qualche utilità. La nostra ricerca nasce proprio da una necessità pratica: dalla volontà cioè di creare un’ambientazione 3D sovrapponibile il più fedelmente possibile al dipinto originario. 

Paradossalmente l’ambito di indagine che ha appassionato la maggior parte dei ricercatori consultati, ovvero la riconducibilità delle unità di misura impiegate per la costruzione della griglia prospettica dell’opera a braccia e denari fiorentini, si è rivelato quasi accessorio per ricostruire il dipinto in 3D.

I dati necessari sono tutti estrapolabili dal dipinto, come dimostreremo. Non occorre conoscere a cosa corrispondono le misure della tavola (4), ma eseguire un’opera di approssimazione e astrazione degli elementi conosciuti leggendoli alla luce dei trattati De pictura di Leon Battista Alberti e il De prospectiva Pingendi di Piero della Francesca, contemporanei all’opera.

“Si consideri me non come matematico ma come pittore scrivere di queste cose”

Fin da fine Trecento assistiamo in Italia a un crescente interesse per gli studi sull’ottica. A Padova il filosofo Biagio Pelacani, partendo dalle teorie visive degli arabi al-Kindi e Alhazen, era giunto a considerare l’ottica una scienza matematica capace di conoscere la natura.

A Firenze artisti come il Brunelleschi, il Ghiberti, Paolo Uccello e Masaccio stavano investigando con «arti e scienze non udite e mai vedute» un modo otticamente corretto per raffigurare le cose. 

In questo contesto si inserisce l’anonimo autore che, impiegando i principi dell’ottica e della geometria proiettiva costruisce la griglia prospettica della tavola Urbinate. Non dobbiamo dimenticare tuttavia che in quanto pittore egli non misura le forme «col solo ingegno separata ogni materia», come i matematici, ma usa «più grassa Minerva» perché vuole «le cose esser poste da vedere», come ammonisce Alberti nel De Pictura

Non dobbiamo perciò cercare ne la “città ideale” una prospettiva perfetta in cui far tornare prospetticamente tutti gli elementi della tavola, perché essa è frutto di un’interpretazione dell’autore. Noi uomini del ventunesimo secolo siamo forse inconsciamente viziati dall’automazione delle ottiche lenticolari e digitali e ci risulta quindi difficile accettare un tale livello di “approssimazione”.

Riconosciuto questo, però, paradossalmente possiamo trovare  proprio nelle proprietà delle lenti fotografiche e, per estensione, virtuali la chiave per una traduzione del linguaggio pittorico della tavola in quello tridimensionale del mondo digitale.

La Camera 3D

Per iniziare la nostra opera è quindi imperativo sviluppare un sistema per tradurre il punto di vista prospettico dell’autore in dei dati specifici necessari al set-up (5) di una camera 3D in un mondo virtuale. Ciò è necessario per tradurre in modo otticamente coerente la deformazione prospettica che riscontriamo nell’opera, passaggio imprescindibile per procedere con la fase di modellazione tridimensionale nel software open source blender.

Nel De Pictura leggiamo che l’uomo riesce a vedere giacché da tutte le superfici sono emessi «razzi visivi» che compongono una piramide avente per base la superficie dell’immagine e per «cuspide» l’occhio; ciò vale anche per il mondo virtuale, in cui all’occhio umano si sostituisce una camera 3D con i suoi relativi settaggi.

L’angolo orizzontale che ha vertice nella cuspide infatti corrisponde a grandi linee al campo visivo, o field of view, impostabile nella camera virtuale mentre la proiezione della cuspide sul piano del pavimento rappresenta la distanza della camera dalla base della piramide, cioè dal piano dell’immagine rappresentata.

Proprio questi valori, ovvero il campo visivo e la distanza della camera dal piano del quadro, uniti a delle dimensioni dell’immagine output che rispettino approssimativamente le proporzioni della tavola, ci forniranno una camera 3D in grado di simulare una corretta deformazione prospettica equiparabile a quella dell’opera bidimensionale.

L’uomo come unità di misura

Nel trattato albertiano del De Pictura leggiamo che il pittore si deve servire degli stessi principi della matematica, ma deve misurare ciò che vede con il suo strumento, il corpo umano. L’artefice, una volta posizionata tale unità di misura nella piramide visiva, può comparare tra loro e con l’occhio dell’osservatore le cose che intende rappresentare, così da capire come queste mutino in modo proporzionale alla distanza.

Seguendo i principi albertiani abbiamo quindi identificato un nostro omino come unità di misura: posizionato sull’asse centrale della tavola, la sua altezza sarà data dalla distanza tra la linea di terra e la linea dell’orizzonte passante per il punto centrico (6).

Nello spazio tridimensionale, lo porremo sul piano verticale tangente alla linea di terra che seziona la piramide visiva essendo la superficie pittorica come un «velo» perpendicolare al «razzo centrico», che interseca la piramide visiva senza alterarne le proporzioni. D’ora in avanti chiameremo questo piano del quadro Termine, come Piero della Francesca chiama, nel De prospectiva Pigendi, il piano nel quale «l’ochio descrive co’ suoi raggi le cose proportionalmente et posse in quello giudicare la loro mesura».

Misurare le distanze

Per determinare la distanza dal Termine di un qualsiasi oggetto presente nel nostro mondo virtuale abbiamo fatto ricorso alla teoria delle proporzioni descritta nel De prospectiva Pigendi di Piero della Francesca: una semplice proporzione tra triangoli infatti ci permette di posizionare con una certa sicurezza le rette parallele alla nostra linea di terra. Ci basterà tenere conto della tassellazione geometrica in cui il pavimento è diviso: una  griglia di quadrotti marmorei apparentemente dalle dimensioni costanti schematizza infatti il piano su cui poggiano gli edifici della città ideale e ci fornisce un ulteriore elemento conosciuto da cui partire per costruire una mesh poligonale (7).

Seguendo quindi questo metodo abbiamo misurato, in relazione alla nostra unità di misura, la distanza di un oggetto noto dal Termine.

La facciata della chiesa che troviamo a destra, sullo sfondo del quadro, si è rivelata la candidata ideale: non abbiamo considerato la facciata come esempio di una chiesa realmente esistente ma più come un edificio pittorico da mettere in relazione con edifici simili dipinti in opere coeve. In particolare abbiamo fatto riferimento all’affresco di Masolino da Panicale, la Guarigione dello storpio e resurrezione di Tabita nella cappella Brancacci.

Nell’opera infatti troviamo un edificio praticamente identico a quello che, nella tavola di Urbino, ha un’altezza e una profondità simili a quelle della nostra chiesa. In più, il complesso abitativo rappresentato da Masolino mostra chiaramente una figura umana nell’atto di attraversare la soglia. Proprio l’evidente interazione tra uomo ed edificio ci ha permesso di mettere in relazione il nostro omino albertiano al palazzo di quattro piani e, per estensione, alla facciata della chiesa.

dettaglio de la Guarigione, Masolino da Panicale, Cappella Brancacci, chiesa di Santa Maria del Carmine, Firenze, 1424-1425

Una volta ricavata la profondità della chiesa il passo successivo è stato dedurne l’altezza. Rapportata l’unità di misura al palazzo l’edificio di Masolino è alto approssimativamente sette omini albertiani, un’altezza più o meno corrispondente a quella della nostra facciata.

Abbiamo quindi impiegato l’altezza della chiesa per individuare in modo graficamente esplicativo la distanza tra la Camera 3D e il Termine. Per farlo occorre traslare l’altezza della facciata H fino all’asse centrale. Collegando l’apice del segmento H con la proiezione del punto centro sul Termine (la punta del cappellino dell’omino albertiano per intenderci) abbiamo ottenuto così un trapezio rettangolo, facilmente osservabile nella vista di profilo, la cui base maggiore misura quanto l’altezza della facciata della chiesa (7 omini), la base minore quanto la nostra unità e l’altezza quanto la profondità della chiesa. Prolunghiamo il lato obliquo facendolo intersecare col piano del pavimento e cosa otteniamo con un pizzico di trigonometria? (8)

Un triangolo rettangolo il cui vertice opposto al nostro segmento H sarà distante dal Termine quanto la camera 3D. Detto fatto! Abbiamo individuato la distanza della camera dal piano del quadro e non ci resta che determinare l’apertura angolare della camera (field of view) che equivarrà all’angolo opposto alla linea di terra del triangolo isoscele ottenuto collegando i vertici alla base del Termine con il nostro punto di vista. Abbiamo determinato così tutte le misure necessarie al set-up della camera 3D!

Tradurre in 3D

Come abbiamo già detto, per noi trovare i valori necessari al set-up della camera virtuale era imperativo per ottenere una deformazione prospettica coerente in base alla quale costruire una mesh poligonale perché miravamo a rendere il 3D il più sovrapponibile all’opera originale. La possibilità di sovrapporre all’interno della viewport della camera il materiale di riferimento ha di molto semplificato il lavoro di modellazione.

Per determinare la planimetria della città sul piano ci è bastato ricordare che «una volta posizionata l’unità di misura nella piramide visiva», possiamo comparare con l’occhio dell’osservatore le cose rappresentate tra loro «in modo da rivelarne la giusta grandezza e capire come queste mutino in modo proporzionale alla distanza».

Note

1) Piero della Francesca, De prospectiva Pigendi, ed. critica a curi di G. Nicco-Fasola, Le Lettere, Firenze, 1984

2) Paradossale identificare in una città “disabitata” un modello ideale

3) Piero della Francesca, De prospectiva Pigendi, ed. critica a curi di G. Nicco-Fasola, Le Lettere, Firenze, 1984

4) Non ci occorre sapere le misure in centimetri del rilievo della tavola perché lo scopo della nostra ricerca non è riprodurre l’opera a dimensioni reali; una volta stabilità un’unità di misura, che come tutte le unità di misura sarà una convenzione, avremo tutti i dati per costruire un modello in proporzione

5) In questo caso il termine set-up, o settaggio, indica il procedimento di inserimento dei valori specifici nelle impostazioni della camera, reale o virtuale che sia

6) Non ci occorre conoscere le dimensioni precise dell’omino, infatti possiamo impostare qualsiasi valore come base della nostra unità di misura e i risultati torneranno in proporzione. Curiosamente abbiamo notato che l’altezza in centimetri di un omino albertiano potrebbe corrispondere approssimativamente a tre braccia fiorentine.

7) una mesh poligonale è un reticolo composto da vertici, spigoli e facce che definisce la forma di un poliedro nello spazio tridimensionale

8) la soluzione più semplice per determinare la distanza tra camera e Termine sarebbe stata applicare una semplice proporzione e risolvere l’equazione x:1omino=Termine:7omini; la nostra è stata una decisione dettata dalla volontà di esplicare visivamente il metodo matematico alla base del ragionamento.

Bibliografia

L. B. Alberti, De Pictura, 1435.

Piero della Francesca, De prospectiva Pigendi, ed. critica a curi di G. Nicco-Fasola, Le Lettere, Firenze, 1984

Richard Krautheimer, Le tavole di Urbino, Berlino e Baltimora riesaminate,  in “Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo”, Milano, 1994, pp. 233–257.

T. Saegusa, H. Chikatsu, 3D modeling and representation of “ideal city” painted by Piero della Francesca, Tokyo Denki University, Department of Civil and Environmental Engineering, Hatoyama Saitama, Japan.

Gaia Lavoratti, La veduta della Città ideale di Urbino. La pavimentazione come griglia regolatrice dello spazio,  in Prospettive architettoniche, conservazione digitale, divulgazione e studio VOLUME I a cura di Graziano Mario Valenti

E.Panofsky, La prospettiva come “forma simbolica”,  2013, Aesthetica

L. Catastini, F. Ghione, Le Geometrie della Visione, Scienza, Arte, Didattica, casa editrice Springer, 2006


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