Couleurs, I
di Elena Bastianini &
Andrea Cigognetti
La riscoperta
Sicilia, 1823: Due giovani architetti inglesi, William Harris e Samuel Angell, ritrovarono le metope di Selinunte coperte di stucchi finemente colorati di rosso e blu. Le certezze di un mondo accademico, convinto della purezza candida del mondo antico, vennero travolte proprio dalle scoperte archeologiche.
Sono passati due secoli da quella che è stata definita “la battaglia per la policromia dell’arte classica”. Eppure ancora oggi facciamo fatica ad immaginare non solo l’antichità, ma anche il Medioevo nelle sue tinte sgargianti. Contro questa sorta di “cromofobia” la tecnologia digitale fornisce uno strumento fondamentale, ma spesso viene declinata in una resa a campiture piatte poco suggestiva. Abbiamo quindi deciso di provare a dare colore alle opere a modo nostro.
La Leucotea di Pyrgi

Sembrerebbe assurdo che per parlare del colore nell’antichità abbiamo scelto questa testa femminile attribuita a Leucotea, letteralmente la “dea bianca”. La testa, rinvenuta nel santuario di Pyrgi, faceva parte dell’altorilievo del tempio dedicato a Thesan, la dea etrusca dell’aurora. Che si trattasse di Leucotea, di Uni, di Thesan o della Mater Matuta romana, i segni di una antica policromia appaiono così evidenti che abbiamo deciso di ipotizzarne l’originario splendore ispirandoci ai coevi affreschi etruschi, in cui il candore della carnagione delle donne non è mai reso da una piatta stesura di bianco, ma da splendidi chiaroscuri.
Il Discobolo di Mirone
Il celebre Discobolo di Mirone, come la maggior parte delle sculture in bronzo greche, ci è giunto solo attraverso copie in marmo romane. Abbiamo guardato queste sue tante e sempre differenti riproduzioni per provare ad immaginare come potesse apparire l’originale in bronzo. La nostra ipotesi è una sintesi tra le scoperte della policromia nei bronzi dell’antichità greca e le tante varianti delle copie romane: il risultato è un’opera diversa dall’icona che tutti conosciamo, una statua policroma con gli occhi di vetro che si torce nell’aria per lanciare il disco, senza quel supporto necessario alle copie in marmo. Un esempio perfetto di una delle questioni più care agli scultori antichi: la ricerca dell’equilibrio.
La porta dei mesi della Cattedrale di Ferrara
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Maestro dei mesi, Formella raffigurante il mese di Giugno, museo della Cattedrale, Ferrara, 1225 – 1230; Rielaborazione grafica di Andrea Cigognetti
Tra i numerosi cicli dei Mesi medievali che collegavano le attività quotidiane dei diversi periodi dell’anno con i rispettivi segni zodiacali uno di nostri preferiti è quello che adornava il portale a sud della Cattedrale di Ferrara ad inizio Duecento. Il misterioso quanto anonimo maestro dei mesi diede forma alle attività stagionali con grande senso plastico e cura per i dettagli.
Nel Settecento il portale fu smembrate e alcune di queste formelle vennero reimpiegate come pavimentazione interna (!) Paradossalmente fu proprio questo uso improprio che permise il conservarsi di alcuni segni della cromia originaria. Non potevamo fare a meno di immaginarci come poteva apparire a colori una delle formelle, nella fattispecie quella del mese di giugno, e abbiamo deciso quindi di ri-dipingerla digitalmente. Questo è solo il primo capitolo sul colore, ne faremo molti altri…